NON E’ TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA!

La Cassazione, probabilmente per uno spirito di giustizia, ha di recente adottato un provvedimento destinato a creare, se non correttamente inteso e limitato, tantissima confusione e possibili atteggiamenti truffaldini da parte del condòmini e dei loro amm.ri.

Il riferimento è all’ordinanza n.14530 del 9 giugno 2017 della Suprema Corte.

Per comprendere i possibili effetti distorsivi del provvedimento, partiamo ad esaminare la vicenda sostanziale da cui ha preso le mosse il dictum.

La vicenda.

Un artigiano, dopo aver ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme da riscuotere per lavori effettuati per un condominio, notifica poi ad un condòmino un atto di precetto pro quota (cioè solo per la quota al medesimo riferita). Il condomino precettato fa opposizione dimostrando di aver pagato medio tempore all’amm.re la sua quota dovuta per i lavori. I giudici di merito danno ragione al condòmino.

La Cassazione. 

La Suprema Corte, nel ribadire tale ragione del condòmino, sentenzia che il creditore può agire verso il singolo proprietario (a seconda dei millesimi dallo stesso posseduti) solo fino a quando questi non abbia pagato la propria quota all’amm.reInfatti, continua a spiegare la Cassazione, quando l’amministratore stipula un contratto con un terzo si formano due distinte obbligazioni: la prima concernente l’intero debito e facente capo al condominio, la seconda concernente le singole quote e facente capo ai singoli condomini. L’azione diretta portata dal terzo creditore richiede quindi come presupposto ineliminabile che questi non abbia pagato la sua quota dovuta all’amm.re ai sensi dell’articolo 1123 sino ancora al momento in cui il giudice emette sentenza di condanna.

Il dictum ed i suoi possibili effetti distorsivi.

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ribadisce innanzitutto un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, e cioè il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali. I giudici, infatti, ricordano che le obbligazioni che l’amministratore assume nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti solo in proporzione delle rispettive quote. In assenza di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio di solidarietà, la responsabilità dei condomini è retta dal principio della parziarietà e i criteri che la determinano sono simili a quelli che gli articoli 752 e 1295 del codice civile dettano per le obbligazioni ereditarie.

E su questo nulla quaestio.

Ma poi aggiunge altro. Così in motivazione:

Occorre considerare come, ogni qual volta l’amministratore contragga con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. In particolare, il terzo creditore può agire nei confronti del condomino moroso per ottenerne il pagamento della rispettiva quota di partecipazione alla spesa, ma sempre che e fintanto che questa sia inadempiuta. Presupposto per l’azione diretta portata dal terzo creditore nei confronti del singolo condomino è, quindi, che questi non abbia adempiuto al pagamento della sua quota dovuta ex art. 1123 c.c. all’amministratore fino ancora al momento il cui il giudice emetta la sua sentenza di condanna. Di tal che, questa Corte
ha affermato che il singolo condomino è pur sempre obbligato a pagare al condominio, e non al terzo, le spese dovute in forza dei criteri di riparto ex lege o da convenzione, né può utilmente opporre all’amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si assume, ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio (Cass. Sez. II, 29 gennaio 2013, n. 2049). Altrettanto, si è affermato in giurisprudenza (Cass. Sez. VI-2, 17 febbraio 2014, n. 3636) che l’amministratore è l’unico referente dei pagamenti relativi agli obblighi assunti verso i terzi per la conservazione delle cose comuni, di tal che il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non sarebbe comunque idoneo ad estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c. Il pagamento effettuato, pertanto, dal condòmino all’amministratore del Condominio della propria quota di spese relative alla manutenzione dell’edificio condominiale non poteva lasciare lo stesso condòmino
ancora debitore per lo stesso importo verso il terzo creditore della gestione condominiale. 

I possibili effetti distorsivi.

Il ragionamento della Suprema Corte, portato alle estreme conseguenze, può portare ad effetti aberranti.

Ed infatti, tale ragionamento potrebbe astrattamente andare bene nella misura in cui la provvista data dal condòmino  all’amm.re sia poi girata effettivamente al terzo creditore condominiale o comunque disponibile per la rimessa al medesimo.

Ma cosa accadrebbe se, invece, tale provvista non ci fosse più? magari perché utilizzata dall’amm.re per pagare altri debiti condominiali oppure perché sottratta alle casse condominiali?

Davvero basta pagare al proprio amm.re per vedersi liberati dal proprio obbligo verso i terzi creditori, se poi l’amm.re non li paga per davvero?

Già si immagina l’italica inventiva, allora, volta a confezionare false quietanze, o comunque far sparire il danaro, tanto il terzo nulla può più fare nei confronti dei singoli condòmini avendo questi già pagato all’amm.re !!!! Allegria!!!

E’ chiaro che tale ragionamento può valere solo nella misura in cui il danaro poi venga comunque versato dall’amm.re al creditore condominiale, perché altrimenti il terzo non avrebbe più alcuna seria tutela giuridica.

Leggi il testo integrale della sentenza qui.

(18 m.ti w-l)

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