SULLA LEGITTIMAZIONE AD IMPUGNARE E SUA SANATORIA

La legittimazione ad impugnare una delibera assembleare non spetta a chi non rivesta più la qualità di condomino (per non essere più proprietario di immobili compresi nel condominio). In tal caso, è possibile una ratifica operante ex tunc attraverso la costituzione del titolare del diritto solo che chi ha impugnato non ha agito in nome proprio, trattandosi altrimenti di una inammissibile sostituzione processuale che non ammette sanatoria.
Questi i principi pronunciati dalla recente Cass. 315 del 9 gennaio 2019, nella cui motivazione si legge:
La giurisprudenza ammette la ratifica degli atti processuali compiuti da un soggetto carente della capacità di stare in giudizio, ferme le decadenze processuali nel frattempo intervenute (Cass. 12686/2016; n. 3700/2012; n. 17525/2003); il principio è applicabile anche in tema di rappresentanza volontaria in presenza di un originario difetto di idoneo mandato, che «è emendabile per iniziativa del soggetto legittimato che manifesti la sua volontà attraverso il suo diretto intervento in giudizio o il rilascio di regolare procura»; anche in questo caso si precisa che «la regolarizzazione del rapporto processuale può avere efficacia ex tunc solo fatti salvi i diritti anteriormente quesiti, compresi quelli che si ricollegano alla scadenza del termine di impugnazione» (Cass. n.4652/1996); non è dubbio, però, che nella specie P.M., pur non essendo titolare del diritto, nell’impugnare la delibera aveva agito in nome proprio, non in nome della figlia, cui aveva già trasferito la proprietà dell’unità immobiliare in condominio; in questi termini la censura richiama implicitamente una sorta di gestione di affari altrui; la titolare del diritto, intervenendo nel giudizio in corso, aveva inteso appropriarsi degli effetti di tale gestione; non si tiene conto però che il diritto altrui fatto valere dal P. in nome proprio non riguardava la gestione di un affare di natura patrimoniale, ma il ricorso al tribunale a norma dell’art. 1137 c.c.; il che pone l’attività del P. al di fuori della previsione degli artt. 2028 e segg. c.c., posto che l'”affare”, nella previsione dell’istituto, deve avere carattere patrimoniale, nel senso di materiale gestione del patrimonio altrui (Cass. n.1365/1989); l’attività di Petti Mario dovrebbe piuttosto inquadrarsi in una non consentita ipotesi di sostituzione processuale; a norma dell’art. 81 c.p.c., fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui; pertanto, per dottrina e giurisprudenza pacifiche, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, è da ritenersi inammissibile, per difetto di legittimatio ad causam, rilevabile anche d’ufficio, l’attività processuale esercitata in nome proprio per far valere diritti altrui (cfr. Cass. n. 6843/1991).
La sentenza integrale è visionabile qui.
(8 m.ti w-l)

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