PAROLA ALLE SEZIONI UNITE SUI CONTRATTI DI LOCAZIONE DI TELEFONIA CHE CONSERVANO LA PROPRIETA’ DEI MANUFATTI IN CAPO AL CONDUTTORE

Con due sentenze praticamente gemelle, la n.8943 e n.8944, entrambe del 29 marzo 2019, la Cassazione mette ordine sulle varie fattispecie possibili in materia di contratti aventi ad oggetto la installazione di manufatti e strutture per l’esercizio della telefonia mobile da parte di terzi non condomini.
In entrambe le ipotesi, infatti, le società esercenti il servizio di telefonia pubblica avevano stipulato un contratto di locazione in cui il gestore poteva installare sul lastrico comune, dietro pagamento di un corrispettivo, delle strutture ed apparecchiature fisse per far funzionare le proprie antenne; però, mentre nella prima ipotesi, il contratto era stato stipulato solo dal condòmino maggioritario (con consenso tacito dell’altro), nella seconda ipotesi vi era stata una delibera condominiale che, a maggioranza, aveva autorizzato il contratto.
In entrambi i casi le vicende giungono davanti ai Giudici di merito, chiamati a chiarire se si tratti di locazione ovvero di diritto di superficie, in quest’ultimo caso necessitando dell’unanimità dei consensi espressi in forma scritta.
Si giunge quindi alla Suprema Corte, che in motivazione così si esprime:

Questa Corte ha affermato che l’uso indiretto di una parte comune mediante locazione può essere disposto con deliberazione a maggioranza, sempre che non sia possibile l’uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di frazionamento degli spazi o di turni temporali, costituendo, dunque, l’indivisibilità del godimento o l’impossibilità dell’uso diretto il presupposto per l’insorgenza del potere assembleare circa l’uso indiretto (Cass. 27/10/2011, n. 22435; Cass. 22/03/2001, n. 4131; Cass. 21/10/1998, n. 10446).

Quando la maggioranza dei condomini deliberi di locare la cosa comune ad un terzo, non si pone proprio questione di violazione dell’art. 1102 c.c., in quanto tale norma tutela l’uso diretto di ciascun condomino sulla medesima e non quello indiretto (arg. da Cass. 22/03/2001, n. 4131).

D’altro canto, il singolo condomino, nell’esercizio del diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, ex art. 1105 c.c., possa concedere in locazione la stessa senza necessità di espresso assenso degli altri condomini, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione che si presume fino a prova contraria compiuto nell’interesse di tutti e che trova disciplina nelle disposizioni in tema di gestione d’affari non rappresentativa (Cass. 23/04/1996, n. 3831; Cass. 27/01/2005, n. 1662; Cass. Sez. U, 04/07/2012, n. 11135). Per riconoscere, al singolo condomino il potere di concedere in locazione una parte condominiale, anche senza l’assenso degli altri partecipanti, occorre che lo stesso agisca quale utile gestore o mandatario tacito nell’interesse degli altri condomini o, quanto meno della maggioranza di essi, mentre è necessaria l’espressa adesione di tutti i condomini quando la locazione non sia diretta alla tutela degli interessi collettivi ma miri a soddisfare un proprio esclusivo interesse, che può essere anche in contrasto con quello degli altri.

La questione che si pone è quella della esatta qualificazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l’esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell’area, garantendogli comunque di conservare la proprietà dei manufatti sia nel corso del rapporto sia alla cessazione di esso.

Il primo problema che si prospetta è, allora, correlato alla natura immobiliare o mobiliare degli impianti ripetitori per la telefonia mobile, di proprietà dei gestori pubblici.

Per l’art. 812 c.c., sono beni immobili “tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”, essendo “mobili tutti gli altri beni”. Alla stregua dell’art. 812 c.c., la “immobilizzazione” del bene suppone che lo stesso sia suscettibile di una utilizzazione stabile e duratura nel luogo in cui si trova, costituendo oggetto di un diritto realizzabile sulla base di una relazione funzionale con tale luogo, indipendentemente dal sistema di unione o incorporazione al suolo concretamente utilizzato.

Il contratto con cui il proprietario di un fondo conceda ad un terzo, dietro pagamento di un corrispettivo, il diritto di installare e mantenere infrastrutture e impianti sul proprio fondo, riservando al concessionario la proprietà dei manufatti, potrebbe essere qualificato come locazione, che regoli però in via derogatoria il regime delle addizioni (art. 1593 c.c.).

Dalle sentenze risulterebbe che l’art. 1593 c.c. costituisce una disciplina speciale rispetto agli artt. 934 e 936 c.c., seppur non nel senso di negare l’acquisto immediato della proprietà dell’addizione in capo al proprietario del fondo locato, ma soltanto nel senso di attribuire al conduttore uno ius tollendi delle addizioni separabili senza nocumento, esercitabile alla fine della locazione. E’ tuttavia ammissibile che il contratto di locazione regolamenti convenzionalmente il regime delle addizioni, introducendo una più radicale deroga al principio dell’accessione, rispetto a quella già stabilita dall’art. 1593 c.c., in maniera che le costruzioni realizzate dal conduttore nel corso del rapporto non siano mai acquistate in proprietà dal locatore.

E’ diffuso in dottrina il convincimento che il “titolo” ex art. 934 c.c., da cui eventualmente risulti l’inoperatività del principio “superficies solo cedit”, non può consistere in una concessione con effetti meramente obbligatori, ma deve avere necessariamente natura reale, sia per la sua incidenza su beni immobili, sia per le esigenze tipiche della pubblicità immobiliare, in quanto solo la trascrizione dell’atto, che riserva al costruttore la proprietà dell’incorporazione, garantisce l’opponibilità delle convenzione ai terzi, ovvero, in particolare, a coloro che subentrino nel diritto di proprietà o di comproprietà del suolo.

Non sarebbe di ostacolo a ravvisare un contratto costitutivo di un diritto di superficie il fatto che la convenzione preveda l’obbligo di colui che abbia posto in essere l’opera di rimuovere la stessa al termine del rapporto. L’art. 953 c.c. dispone che “se la costituzione del diritto è stata fatta per un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione”; tuttavia, si afferma che tale norma ha natura dispositiva ed è perciò derogabile dalle parti. La configurabilità di un contratto costitutivo di un diritto di superficie è altresì compatibile con la pattuizione di un corrispettivo consistente non nel pagamento di una somma unica, quanto di un canone periodico (il cosiddetto solarium).

Più arduo appare qualificare il negozio … come contratto costitutivo di servitù prediale, facendo difetto il carattere di predialità supposto dall’art. 1027 c.c., ovvero l’inerenza passiva di un peso su un fondo servente a vantaggio di un contiguo fondo dominante, ciò supponendo necessariamente l’esistenza di due fondi distinti, appartenenti a proprietari diversi. D’altro canto, la qualificazione di un siffatto negozio in termini di servitù non risolverebbe la questione della proprietà dell’impianto realizzato dal concessionario sempre in rapporto al principio dell’accessione.

Più in generale, per gli atti costitutivi di diritti reali sulle parti condominiali occorre il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell’art. 1108, comma 3, c.c., applicabile al condominio in virtù del rinvio operato dall’art. 1139 c.c. (Cass. 24/02/2006, n. 4258; Cass. 14/06/2013, n. 15024), anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 1120, comma 2, n. 2, c.c., introdotto dalla legge n. 220 del 2012, in tema di installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, ove si prevede una maggioranza agevolata per disporre in assemblea la relativa innovazione, ma non si contempla alcuna deroga all’art. 1108, comma 3, c.c. al fine di concedere a terzi un diritto reale di godimento della superficie comune.

Peraltro, se i condomini intendono costituire un diritto reale (nella specie, di superficie) sul lastrico solare o su altra area condominiale, si ha riguardo ad un negozio di disposizione giuridica, in modo diretto, della cosa comune, ed il consenso di tutti i comunisti è imposto dall’art. 1108, comma 3, c.c.

Diversa è la fattispecie delle innovazioni ex art. 1120 c.c., in cui i condomini intendono approvare non un atto dispositivo della cosa comune, quanto opere di trasformazione dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento della stessa, che però incidono sull’essenza del bene, alterandone l’entità materiale o l’originaria funzione e destinazione. Se le innovazioni da approvare rendono la parte comune dell’edificio inservibile all’uso o al godimento anche di un solo condomino, è del pari necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti (ad esempio, Cass. Sez. 2, 14/06/2006, n. 13752).

Così, Cass. Sez. 6 – 2, 08/10/2018, n. 24767, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva dichiarato nulla la deliberazione assembleare, approvata a maggioranza, finalizzata a consentire l’installazione di un’antenna per la telefonia mobile sul lastrico solare del palazzo, poiché le dimensioni e le caratteristiche dell’impianto compromettevano l’utilizzo della superficie comune.

In definitiva, la questione che si pone è se è necessario il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell’art. 1108, comma 3, c.c., per l’approvazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l’esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come alla fine dello stesso.

Possono -allora- trarsi al momento le seguenti conclusioni:
  1. certamente i contratti in parola non sono costitutivi di servitù, perché manca l’asservimento al fondo di un terzo;
  2. tali contratti possono essere inquadrati nello schema della locazione se il contratto prevede che la proprietà delle strutture realizzate dal gestore passi in capo al condominio, secondo il regime delle addizioni, con facoltà del conduttore/gestore di esercitare lo ius tollendi al termine del rapporto, ritornando proprietario dei medesimi; in tal caso, trattandosi non di diritti reali, ma obbligatori, non sarà necessario il consenso di tutti i condomini espresso in forma scritta, ma basterà una semplice delibera adottata a maggioranza;
  3. tali contratti vanno invece inquadrati nello schema della costituzione di un diritto di superficie se il contratto prevede che la proprietà delle strutture realizzate dal gestore rimanga per sempre in capo al gestore, senza che vi sia un termine al rapporto; in tal caso, trattandosi di diritti reali, sarà necessario il consenso di tutti i condomini espresso in forma scritta, ma basterà una delibera adottata a maggioranza;
  4. l’ultima ipotesi è quella del contratto con cui si conceda il godimento di un bene per edificare una struttura, dietro pagamento di un prezzo e per un tempo determinato, e si preveda che l’opera realizzata sia sempre di proprietà di chi la realizza sul suolo altrui; tale contratto potrebbe essere infatti qualificato o come locazione o come costituzione di proprietà superficiaria; il che, nell’ambito condominiale, crea grave incertezza, perché nel secondo caso non basta una delibera a maggioranza, ma ci vuole l’assenso di tutti i condomini in forma scritta. Su tale questione si dovranno pronunciare le Sezioni Unite della Cassazione.
La sentenza n.8943 è visionabile qui.
La sentenza n.8944 è visionabile qui.
(20 m.ti w-l)

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