LA PRIVACY CEDE ALL’AZIONE PENALE

Le immagini riprese dall’impianto di videosorveglianza installato in un edificio in condominio sono comunque utilizzabili in un procedimento penale anche se violano le norme dettate in materia di riservatezza.

Questa la decisione della Cassazione penale, sentenza 3 luglio 2013, n.28554.

In buona sostanza, una cosa è la violazione delle norme poste a tutela della riservatezza (vedi d.lgs n. 196/03), altro la rilevanza penale delle registrazioni.

Chi è “incastrato” dalle riprese non può quindi eccepire fatti che rispetto al suo comportamento, penalmente rilevante, non hanno alcuna rilevanza.

E’ andata così per una persona condannata per danneggiamento (art. 635 c.p.) di un automobile; la prova principale del fatto era contenuta in un documento, vale a dire la registrazione dell’atto da parte delle videocamere ubicate in un locale condominiale.

Il Giudice di pace chiamato a decidere sulla condanna del danneggiatore l’aveva assolto: secondo il magistrato onorario quel documento non poteva entrare a far parte del processo; di conseguenza niente prova, niente condanna.

Le cosa sono cambiate al termine del giudizio di legittimità.

Secondo gli ermellini, che hanno ribadito un proprio precedente pronunciamento, “le videoregistrazioni costituiscono una prova documentale, la cui acquisizione è consentita ai sensi dell’art. 234 c.p.p. essendo inoltre irrilevante che siano state rispettate o meno le istruzioni del Garante per la protezione dei dati personali, poiché la relativa disciplina non costituisce sbarramento all’esercizio dell’azione penale (Cass. sez. II, 31.1.2013 n. 6813)” (Cass. pen. 3 luglio 2013, n. 28554).

Ma un’altra affermazione contenuta nella sentenza in esame deve essere  sottolineata.

Viene rilevato, infatti, che in fattispecie del genere risulta irrilevante il rispetto delle istruzioni del Garante per la protezione dei dati personali,  poiché la relativa disciplina non può essere considerata ostacolo all’esercizio  dell’azione penale.

Al  riguardo si era così già espressa la medesima sezione della Cassazione (Cass. pen., Sez. II, 12/2/2013, n. 6812)

In quella occasione era stata sollevata l’eccezione di inutilizzabilità dei filmati ricavati dall’impianto di videosorveglianza installato all’esterno del negozio della persona offesa, rilevando che le riprese erano state  effettuate in violazione della normativa sulla riservatezza.

Anche in quel caso  il ricorrente sosteneva trattarsi di prova acquisita in maniera illegittima, che  non avrebbe potuto essere utilizzata nel processo, ai sensi dell’articolo 191  del codice di rito. Ritenendo infondata tale censura, la Suprema Corte ha ricordato che  l’articolo 234 del codice consente l’acquisizione delle prove documentali.

Di  conseguenza, le videoregistrazioni dell’impianto di sorveglianza apposto dalla  persona offesa all’esterno del negozio non possono essere considerate prove  illegittimamente acquisite, trattandosi di prove di cui viene espressamente  consentita l’acquisizione.

In un contesto simile, concludono i giudici, “è del tutto irrilevante che le registrazioni  siano state effettuate, in conformità o meno, delle istruzioni del Garante per la Protezione dei dati  personali, non costituendo la disciplina sulla privacy sbarramento all’esercizio dell’azione penale. Del resto, con  riferimento alle videoriprese effettuate dalla polizia giudiziaria, questa  Corte ha avuto modo di statuire che sono legittime le videoriprese, eseguite  dalla polizia giudiziaria, in assenza di autorizzazione del giudice, mediante  telecamera esterna all’edificio e aventi per oggetto l’inquadramento del davanzale  della finestra e del cortile dell’abitazione, trattandosi di luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone. Ne deriva che, in  virtù di detta percepibilità esterna, non  sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non  sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla  riservatezza (…), ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l’uso della videocamera ad una  operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell’autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria”(Cass. pen., Sez. IV, 19 marzo 2012 n. 1069).

(11 m.ti w-l)

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